Viviamo in un’epoca in cui tutti noi abbiamo presente le conseguenze della gestione scriteriata dell’ambiente da parte dell’uomo nel corso degli ultimi secoli: chi non conosce le statistiche sulle temperature medie che aumentano sempre di più, o non ha mai sentito parlare delle immense concentrazioni di rifiuti nei nostri mari?
Il lato positivo di questa faccenda è che il nostro pianeta è in queste condizioni per colpa nostra, ma proprio per questo siamo noi uomini che possiamo agire per invertire la rotta.
Constatato che seguire lo stesso modello di sviluppo che ha caratterizzato buona parte della crescita dei paesi occidentali nell’Ottocento e nel Novecento, la domanda non banale a cui devono rispondere i governi di tutto il mondo è quella di capire quale modello di sviluppo seguire nel XXI secolo.
È un interrogativo complesso, cui non si può rispondere esaustivamente in un breve articolo ma qui possiamo sicuramente provare ad abbozzare, basandoci anche sugli spunti che ci forniscono gli esperti, l’ossatura di una nuova politica globale di sostenibilità.
La cooperazione come chiave
Nei prossimi decenni la popolazione di vaste aree di Africa e Asia aumenterà in maniera dirompente e ciò determinerà una maggiore richiesta di energia e beni di consumo, visto anche che si prevede che le economie di queste zone cresceranno considerevolmente.
La sfida è quella di capire come conciliare le legittime necessità di questa massa emergente di uomini con una produzione meno dannosa rispetto a quella dei decenni scorsi.
Gli esperti sono concordi nel ritenere che questo non potrà avvenire se non grazie a una solidale cooperazione internazionale, in base alla quale gli stati con un’economia più florida si impegnino ad aiutare quelli in via di sviluppo garantendo loro l’accesso alle tecnologie pulite per la produzione di energia e, se necessario, a prestare le risorse necessarie a garantire alle loro economie una rapida crescita che non passi dalla carbonizzazione: questo è l’unico modo in cui si può convincere le masse emergenti a seguire una strada sostenibile e la condizione necessaria per riuscire allo scopo è un’assunzione di responsabilità da parte della fetta di mondo più agiata.
Una nuova politica energetica
La sfida della sostenibilità porterà anche molti paesi avanzati a dover ripensare la propria politica energetica con pragmatismo e alla ricerca della maggior scientificità possibile: oggi purtroppo invece si vedono i paesi occidentali ostaggio di pregiudizi ideologici e antiscientifici, da ultimo la Germania, che, nonostante la comunità scientifica sia abbastanza concorde nel ritenere che questo tipo di energia sia necessario a decarbonizzare efficacemente, ha deciso di chiudere proprio tutte le sue centrali nucleari per tornare a usare il carbone. Questo è proprio un esempio di ciò che non si dovrebbe fare, dato che l’atteso aumento della domanda di energia elettrica dovuto all’elettrificazione di sempre più consumi metterà a dura prova i nostri sistemi di produzione e nel futuro sarà indispensabile poter contare su tutte le fonti di energia pulita, incluso il nucleare.
C’è chi sostiene che, invece, la soluzione sia quella di ridurre i consumi in modo generalizzato, secondo lo schema di quella che è nota come “decrescita felice”. Coloro i quali sostengono questa tesi, però, non considerano che una riduzione del consumo di energia porterebbe con sé una conseguente riduzione del PIL, che a sua volta causerebbe una caduta del tenore di vita soprattutto nelle fasce di preparazione meno abbienti, che già hanno accesso a una fetta ridotta della ricchezza nazionale, con conseguenze sociali inaccettabili.
Responsabilizzare e sostenere il cittadino
Non c’è dubbio che la politica di sostenibilità del XXI secolo dovrà passare anche da una responsabilizzazione e sensibilizzazione di tutti i cittadini, perché è soprattutto a partire dalle scelte individuali che si può tenere cura dell’ambiente. Ad esempio, nei prossimi decenni potrebbe rendersi necessario l’uso di prodotti alimentari innovativi, come la tanto discussa farina di grilli: è bene che l’opinione pubblica sia adeguatamente informata riguardo alle novità che si presenteranno nel prossimo futuro in questo campo per evitare emotive e irrazionali crisi di rigetto. Incentivi alla ricerca di un consumo più sostenibile dovranno essere messi in campo in una grande varietà di settori come, come quello dell’industria del vestiario: lo spopolamento dei negozi fast fashion ha portato all’immissione sul mercato di una quantità enorme di capi usa e getta spesso di materiali sintetici e molto poco durevoli, che, finito il loro breve ciclo di utilizzo, vanno ad ingrossare enormemente le fila dei rifiuti nelle nostre discariche. È imperativo che la politica favorisca la nascita di alternative a una così dannosa filiera.
Alcuni, tuttavia, sostengono che limitare il consumo di articoli usa e getta a basso costo, come i vestiti delle grandi catene prese ad esempio prima, possa danneggiare le classi meno abbienti poiché questo è l’unico tipo di beni a cui esse possono accedere. A chi supporta questa tesi si deve rispondere che negli ultimi anni si sono trovate tante risorse per politiche scellerate come il Superbonus edilizio, costato più di un centinaio di miliardi di euro. Non è possibile pensare che non ci siano le risorse per ammortizzare l’impatto sui ceti più deboli delle riforme ambientaliste: contrapporre la tutela dei poveri all’ambiente è una dicotomia falsa che non ci possiamo permettere.
I tre pilastri della nuova sostenibilità
La politica di sostenibilità del XXI secolo dovrà dunque basarsi su tre pilastri.
Dovrà essere solidale, perché la cooperativa internazionale tra economia avanzate e paesi in via di sviluppo sarà fondamentale per la sua efficacia.
Dovrà essere informata a un criterio di massima scientificità, perché non ci possiamo permettere di fare scelte dettate dalle emozioni o da pregiudizi ideologici.
Dovrà essere pragmatica, perché dovrà essere adattata alle condizioni e alle particolarità di ogni area e ogni paese senza rigidità e senza ricette per confezionate, pena la possibilità di non raggiungere i suoi scopi.
Questo articolo è un modesto contributo alla discussione sulla sostenibilità che si protrae ormai da lungo tempo. ora stai governi fa una discussione seria sul tema, e, ancora più di discutere, agire.
Ringrazio il prof. Francesco Romagnoli per il prezioso aiuto dato nella stesura di questo articolo.



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