Questa Biennale non mi ha lasciato proprio niente!”: ecco cosa ho pensato qualche settimana fa dopo esser tornato da una gita scolastica a Venezia per vedere la Biennale, la famigerata mostra di arte contemporanea che si tiene ogni anno nel capoluogo veneto (lo so, il nome farebbe presupporre che si tenga ogni due anni, ma tant’è). 

Perché questo? Perché gran parte delle opere d’arte contemporanea hanno, almeno ai miei occhi, un difetto molto evidente, cioè la loro particolare incapibilità: penso di essere una persona di intelligenza media, senza grandi deficit cognitivi, eppure nel caso di moltissime opere capire il messaggio dell’artista mi è stato totalmente impossibile, anche dopo aver letto ripetutamente le descrizioni di ciascuna. Non solo io mi sono trovato in questa situazione; lo stesso hanno detto molti dei miei compagni e anche tanti altri visitatori con cui ho avuto modo di scambiare qualche opinione, persone che mi sono sembrate acculturate e brillanti. Ma perché l’arte contemporanea risulta così incomprensibile ai più? Siamo forse tutti vittima di un rincoglionimento collettivo quando osserviamo queste opere?

Non penso. Piuttosto, mi viene da pensare che gran parte degli artisti contemporanei si crogioli nel proprio elitarismo e nella consapevolezza che la propria opera sarà capita solo da un cerchio ristretto di addetti ai lavori (e, magari, nel profondo, nemmeno da loro). Dopotutto, forse ciò che gli interessa davvero è qualche recensione favorevole dei soliti critici che gli permetta di avere uno strapuntino di visibilità alla prossima mostra o un articoletto sulla rivista del mese dopo. 

Cosa mi spinge a sostenere questo? Beh, ho visto cose davvero incredibili, che è impossibile siano state concepite per permettere una qualche comprensione da parte dell’osservatore. Cito alcuni esempi che meritano di essere menzionati, sia perché davvero incomprensibili sia perché davvero esilaranti. Per esempio, nel padiglione lussemburghese di questa Biennale, l’installazione consisteva di una serie di altoparlanti posti su delle strutture mobili  che riproducevano ciascuno contemporaneamente una performance diversa di alcuni artisti, che secondo quanto affermato dal curatore dell’esposizione in un’intervista, dovevano ispirarsi, fra gli altri, ai temi del “cyberfemminismo decoloniale” e dell’”ipercapitalismo”. La cacofonia dovuta al sovrapporsi delle tracce audio delle varie performance doveva portare l’ascoltatore a mettere in discussione “l’idea consolidata di produzione artistica individuale”. Se pensate di non aver capito niente, sappiate che non siete i soli.

Merita di essere menzionata anche la descrizione di un altro quadro, esposto alla Biennale di due anni fa: si parla di una “vergine puttana” che “esiste in una curvatura dello spazio” ed “è sospinta dai tessuti pre-colombiani che un tempo erano il suo UFO(..)”. Non credo nessuno possa capirci qualcosa ma, per spezzare una lancia in favore di queste righe, almeno non si può dire che non facciano ridere.

Ecco la descrizione che mi ha strappato più di qualche risata.


Insomma, il vero filo conduttore dell’arte contemporanea sembra essere la totale incomprensibilità. Ma l’arte contemporanea è tutta così? Certo che no: ci sono artisti che sanno condensare nei loro lavori importanti messaggi sociali, grandi emozioni e racconti interessanti. Mi viene da pensare al padiglione della Polonia della Biennale di quest’anno, tutto incentrato sugli orrori della guerra in Ucraina. Purtroppo, sembra che siano solo una minoranza piuttosto esigua nel panorama artistico.

Ho voluto condensare in questo articolo volutamente provocatorio le mie opinioni sull’arte contemporanea non perché voglia convincere qualcuno del suo ridotto valore o perché pensi di avere la verità in tasca, ma perché mi piacerebbe accendere un dibattito su un tema che reputo comunque interessante. Dunque, cari lettori, se avete qualcosa da dire sul tema, non esitate a consegnare ai commenti le vostre riflessioni. Noi ci risentiamo quando tornerò dalla prossima Biennale con un nuovo articolo indignato, o possibilmente anche prima.

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