“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità”
Con queste poche parole cariche di energia Filippo Tommaso Marinetti inizia la stesura del manifesto del Futurismo, una delle principali correnti poetiche, scultorie, artistiche e musicali sorta ad inizio del secolo scorso.
Filippo Tommaso Marinetti nacque ad Alessandria il 22 Dicembre 1876, presso una famiglia piuttosto benestante, poiché il padre lavorava negli uffici commerciali della società del Canale di Suez. Nonostante avesse frequentato la facoltà di legge di Pavia, finiti gli studi si dedicò completamente alla sua passione letteraria, iniziando a comporre poesie e versi di stampo liberty, a causa delle sue influenze francesi. Nel 1908, mentre guidava a tutta velocità, era uscito fuori strada per evitare 2 ciclisti ed era finito un fossato. Una volta tirato fuori, si sentiva un uomo nuovo, deciso a liberarsi della poesia liberty che prima aveva tanto prediletto e iniziò a dedicarsi a quella che fu la sua opera più importante e famosa: il Manifesto del Futurismo. Il 5 Febbraio il Manifesto venne pubblicato nella Gazzetta dell’Emilia di Bologna e, nel giro di 2 settimane, venne ripubblicato in tutta Italia e sul quotidiano parigino Le Figaro. Le principali tesi presenti nel Manifesto derivano dalla nuova realtà dell’inizio del XX secolo, ossia la velocità, frutto delle innovazioni scientifiche dell’epoca. I futuristi, il cui nome fu coniato da Marinetti, intendevano idealmente e ideologicamente “bruciare i musei e le biblioteche” in modo da non avere più rapporti con il passato per concentrarsi così sul dinamico presente. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Nel Manifesto del Futurismo e nelle sue opere successive, Marinetti comunica molto chiaramente le proprie tesi, utilizzando versi e parole forti, violente e aggressive, facendo ricorso spesso e volentieri a massime quali “Non v’è più bellezza, se non nella lotta”, nella quale enfatizza la sua visione della poesia e dell’arte che devono essere concepite come “un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo”.

Mentre il Manifesto del Futurismo e le sue idee vengono dibattute in tutta Europa, Marinetti si diresse in Tripolitania, durante la Guerra in Libia nel 1911, come inviato del giornale francese “L’Intransigeant” e al suo ritorno scriverà La Battaglia di Tripoli un bestseller dover furono raccolti i suoi reportages e i versi che scrisse in Libia. Dopo la Grande Guerra, appoggia prima D’Annunzio, poi i Fasci Italiani di combattimento, attribuendo però una maggiore importanza al Futurismo, considerandolo “padre” del Fascismo e, proprio a causa dei suoi attriti con Mussolini, si distaccherà presto dal Fascismo. Tuttavia, Mussolini richiamerà Marinetti, visto come difensore indiscusso della lingua e della letteratura italiana, per dirigere l’appena fondata Reale Accademia d’Italia, dove al “padre” del futurismo saranno consentite alcune prese di posizione critiche nei confronti del regime, in particolare contro l’antisemitismo, le leggi razziali e l’alleanza dell’Italia con la Germania dominata dal regime nazionalsocialista di Hitler, che già aveva condannato come “arte degenerata” le opere dei futuristi. Nonostante l’anzianità, Marinetti si diresse come inviato di guerra sia in Etiopia nel 1936, sia in Russia nel 1942; tornerà poi in Italia, dove troverà la morte il 2 Dicembre 1944, a causa di una crisi cardiaca.



Lascia un commento