L’isola non era solo una palafitta in mezzo al mare; era il sogno di un uomo, ideato tra onde di problemi, isolato nel pensiero e distante da qualsiasi riva di razionalità.

Stavo pensando a una cosa: tra non molto sarà Natale. Pesavo proprio a questo: c’è mai stato qualcuno che, negli ultimi trent’anni, si è dimenticato di questa festa? Qualcuno che, arrivata l’alba del venticinque dicembre, abbia passato una giornata normalissima? Forse è successo, in qualche paese sperduto ai confini del mondo. Ma io sono sicuro che nessuna delle persone le quali ora stanno leggendo, si sia mai dimenticata di questa festa. Com’è possibile? Be’, forse sarebbe più corretto chiedersi come sarebbe possibile il contrario. Sin dai primi giorni di novembre tutti iniziamo a essere bombardati da pubblicità di ogni genere. “È uscito il nuovo modello di questo cellulare, acquistalo! 50% di sconto!” e cose di questo tipo. Magari poi noi un cellulare ce lo abbiamo già, ma sentiamo il bisogno di acquistarne uno nuovo per sentirci più alla moda. Ecco: la moda. La “Moda” è la moda degli ultimi cinquant’anni. Il nostro consumismo ha consumato, oltre ai nostri portafogli, anche feste come il Natale; continua tutt’ora a consumare la nostra originalità. Sono tantissime le persone che hanno il bisogno di sentirsi omologate al modello base; guai alla diversità, o verrai etichettata o etichettato come eretico!! Quasi tutti hanno paura di non sentirsi abbastanza simili al branco. E pensare che solo sessant’anni fa la situazione era agli antipodi.

Siamo negli anni ’60. Gli anni dello sbarco sulla Luna, ma anche gli anni dell’anticonformismo. Che cosa significa quest’ultima frase? Significa che in quel periodo le persone manifestavano una grande avversione nei confronti dello Stato e dell’Europa, così ognuno cercava di rendersi diverso a modo suo. All’epoca, per assurdo, a vincere era quello che la combinava più strana. È proprio in questo contesto che un italiano costruì, a circa 11km e mezzo dalla spiaggia di Rimini, in mezzo al mare, la sua “Isola che non c’è”.

L’ingegner Giorgio Rosa con una foto della sua isola

Giorgio Rosa non era un semplice ingegnere. Era un ingegnere che viveva con la continua sensazione oppressiva di non poter veder
realizzate le sue idee, a causa delle grandi limitazioni
burocratiche italiane. Sicuro di non poter costruire le sue opere in Italia,
pensò un giorno di costruire un’isola artificiale al largo, cinquecento metri
fuori dalle acque territoriali italiane. Lì avrebbe potuto fare tutto quello
che gli sarebbe passato per la mente.

Superati i primi ostacoli finanziari e tecnici, nel 1965
cominciarono i lavori. Il progetto prevedeva una struttura principale di
quattrocento metri quadrati, retta da nove piloni d’acciaio piantati nel
fondale marino. Si sarebbe vista poi un’espansione dell’isola, con l’aggiunta
di altre piattaforme e anche di una pista d’atterraggio per gli aerei.

Arrivati a questo punto, il progetto non sarebbe più potuto passare inosservato. La capitaneria di porto italiano chiese subito all’ingegnere di smantellare tutto, in quanto quella zona era stata data in concessione all’Eni. Rosa capì allora che se non avesse fatto qualcosa, nel giro di poco tempo sarebbe stato fermato. Fu così che, il primo maggio del 1968, con un atto unilaterale, Giorgio Rosa proclamò la sua struttura Stato indipendente, ribattezzandola con il nome: “Repubblica esperantista dell’Isola delle Rose” o “Esperanta Respublico de la Insulo de la Rozoj”, quest’ultimo nome in esperanto, la lingua ufficiale dell’isola.

Oltre alla lingua ufficiale, vennero fatte coniare alcune monete e fu ideato un vero e proprio inno (che prendeva ispirazione dall’“Olandese Volante” di Wagner), oltre alla realizzazione di una bandiera.

La bandiera dell’Isola delle Rose, con raffigurate appunto tre rose

L’isola fu aperta al pubblico il ventiquattro giugno, ma già molti curiosi si erano avvicinati a bordo di battelli. Il giorno dopo le forze dell’ordine circondarono la struttura, impedendo a chiunque di attraccare. Giravano diverse voci riguardo all’isola: alcuni temevano che fosse una base per sommergibili sovietici, altri erano convinti che sull’isola si potesse trovare un casinò. Sta di fatto che, cinquantacinque giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, l’isola entrò in possesso delle autorità italiane per “evitare che la struttura si trasformasse in uno stratagemma per raccogliere i proventi dei turisti senza pagare le tasse”.

Immagine tratta dal film Netflix “L’incredibile storia dell’isola delle Rose”

Nel febbraio del 1969, l’Isola delle Rose, indifesa in quanto priva di appoggi politici, venne bombardata con mille seicentosettantacinque kg di esplosivo. Se questi bastarono per renderla instabile, non bastarono per farla crollare.

L’isola collassò qualche tempo dopo a causa di una forte tempesta.

Quale fu la reazione dell’ingegner Giorgio Rosa? Fece stampare una serie di francobolli per commemorare l’isola. Sopra i francobolli vi erano impresse queste parole:

“hostium rabies diruit opus non ideam”

“La furia del nemico distrusse l’opera, non l’idea”

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