1+1=2.
E 2×2 = 4.
Lo sanno tutti, no?
E se ti dicessi che, se si è in grado di affermare queste semplici uguaglianze, è possibile anche dimostrare che esistono frasi la cui verità ci rimarrà per sempre ignota?
Esatto, frasi inaccessibili, intoccabili dal raggio degli assiomi, indimostrabili.
Potrebbero sembrare vere, o sembrare false, ma il punto è che non sappiamo e non sapremo se lo sono effettivamente.
Sono dette perciò, nel gergo matematico, indecidibili.
Alcune delle congetture più famose potrebbero risultare, da un momento all’altro, come problemi indecidibili: dalla Congettura di Collatz, a quella di Golbach, al problema dei numeri primi gemelli.
(Per comprendere meglio questo articolo è consigliato leggere il precedente)

IL SOGNO DI HILBERT
A seguito delle scoperte e la fondazione della teoria degli insiemi da parte di Georg Cantor, che comprendeva anche l’esistenza di più categorie di infinito, nacque il gruppo dei formalisti, matematici che supportavano le sue dimostrazioni, credendo che la matematica fosse un solo un grande gioco privo di incertezze, ma anche privo di significato.
Inoltre, ispirati dalla rivoluzione comportata da esse, puntavano a fondare un sistema assiomatico basato su un linguaggio formale (da qui il nome) ben definito, in grado di descrivere e provare completamente la matematica, dalle basi fino ai teoremi più recenti: ogni frase, secondo loro, era vera se e solo se è dimostrabile.
Il leader del gruppo era David Hilbert (1862-1943), figura particolare ma anche particolarmente abile e influente.

Si racconta di come Hilbert abbia apprezzato particolarmente un suo allievo perché gli aveva consegnato una dimostrazione, incorretta ma stupefacente, dell’ipotesi di Riemann.
Tuttavia egli morì precocemente, e al funerale di questi David iniziò a esprimere semplicemente nel suo discorso come il suo decesso costituisse una perdita immensa per la matematica; ma, dopo poco, finì per parlare, sotto la pioggia e davanti ai piangenti amici e parenti, della sua dimostrazione nel dettaglio.
Però è anche riconosciuto come molto talentuoso: infatti, sviluppò una teoria sulla relatività generale contemporaneamente ad Einstein.
Hilbert però diede i meriti della scoperta ad Albert, ed è per questo che oggi ricordiamo solo quest’ultimo come “l’uomo che rivoluzionò la fisica”.
Hilbert è conosciuto per i suoi 23 problemi, al tempo congetture fondamentali da risolvere per avanzare nelle scoperte matematiche nel corso del 1900.
Era particolarmente entusiasta riguardo a questi, tanto che constatò in una conferenza che l’inno dei matematici doveva essere: “dobbiamo sapere, sapremo”.
Frase che poi è anche scritta nell’epitaffio della sua tomba: egli è morto con il continuo desiderio che gli sussurrava all’orecchio “ogni affermazione può e deve essere risolta”.

In particolare era desideroso di dimostrare 3 cose riguardo all’intera matematica:
-la completezza:
“esiste sistemi di assiomi in grado di dimostrare ogni affermazione in matematica”
-la coerenza:
“la matematica è priva di contraddizioni”
-la decidibilità:
“esiste un algoritmo in grado di dire se un’affermazione è derivabile o meno da certi assiomi”.
Ma il suo sogno stava per essere spezzato, frantumato in via definitiva in miliardi di pezzi patetici da un certo giovane logico austriaco: Kurt Godel.
KURT GODEL: IL MAESTRO DELLA LOGICA

L’infanzia di Godel, nato nel 1906, rappresenta lo stereotipo classico di bambino prodigio: già padrone negli anni delle scuole superiori della matematica universitaria, fu estremamente introverso e, oltretutto, cagionevole di salute.
Date le sue origini ebraiche, fu costretto a scappare dal suo paese ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, trasferendosi negli Stati Uniti, dove strinse una solida amicizia con, pensate un po’, Albert Einstein, compagno di lunghe camminate dedicate al fresco ragionamento collettivo.

Per capire la stravaganza di Kurt, nonché il suo modo di vedere il mondo come comandato solo dalla ragione, occorre narrarvi il seguente aneddoto, la cui veridicità, come ogni altro, è però incerta.
Una volta arrivato negli USA, decise di richiedere la cittadinanza e, da logico puntiglioso quale era, si mise a studiare, al fine di prepararsi al meglio, ogni particolare della costituzione.
Dopo l’inizio del colloquio col giudice, e in seguito all’affermazione di quest’ultimo sul fatto che gli Stati Uniti non sarebbero mai potuti diventare un totalitarismo come in Europa, Godel non riuscì più a resistere, e si mise a dimostrare davanti a tutti come, in realtà, fosse possibile fondare proprio una dittatura solo partendo dai principi esposti dalle leggi.
Fu zittito fortunatamente da Einstein, che riuscì a salvarlo dall’essere cacciato dalla sala e trovò anche un modo per fargli ottenere comunque il documento di cittadino.
Abbiamo anche documenti che testimoniano il fatto che avesse tentato di dimostrare logicamente l’esistenza di Dio, oltre a teorizzare una tipologia di universo differente da quella concepita comunemente.
Tuttavia, Godel fu afflitto continuamente da esaurimenti nervosi e problemi legati all’alimentazione: in particolare, durante il corso della sua vita crebbe sempre di più la paranoia di mangiare del cibo avvelenato, tanto che questa fu la causa principale della sua morte, nel 1978: il corpo pesava solo 29 chili.
È incredibile come, nonostante la sua abilità nel ragionare, non fosse stato in grado di capire l’infondatezza delle sue preoccupazioni.
Forse esistono cose che la logica non riesce a risolvere.
Su questa idea su basano, per ironia della sorte, i suoi teoremi dell’incompletezza.
TEOREMI DELL’INCOMPLETEZZA
Era il 1930, anno di una delle più importanti conferenze di Hilbert (quella in cui pronunciò “dobbiamo sapere, sapremo”).
Qualche giorno prima, ad un evento minore sempre nel luogo della conferenza, Godel presentò a John von Neumann, un apprendista di Hilbert nonché fondatore della teoria dei giochi, la risposta alla prima domanda del progetto formalista: “la matematica è completa?”
La risposta di Kurt era: “no”.
L’enunciato del suo teorema era, in versione semplificata, il seguente:
“in ogni sistema logico privo di contraddizioni (coerente) contenente l’aritmetica di Peano, ossia un’aritmetica assiomizzata in tal modo da contenere sia l’operazione di somma, che di prodotto, devono esistere affermazioni corrette sintatticamente ma non dimostrabili né confutabili all’interno dello stesso sistema”
Capirete bene come questo fatto potesse apparire alle orecchie di Neumann.
E anche le nostre, anche se in un modo diverso magari: cosa centrano i numeri e come mai devono necessariamente sommarsi e moltiplicarsi tra loro per ottenere la dimostrazione?
Beh, cerchiamo di parlarne con calma.
Godel aveva in testa il paradosso di Bertrand Russel, che espresse in realtà con l’analogia del barbiere: “Questa frase è falsa”.
La frase è vera o falsa?
Se fosse vera, allora è anche falsa.
Ma se fosse falsa, allora, per il principio del terzo escluso, è vero il suo opposto: “questa frase non è falsa”, e quindi è vera.
Abbiamo sempre contraddizioni, generate da quella che è un’affermazione autoreferenziale, ossia che si riferisce direttamente a sé stessa.
L’idea di Kurt era quella di sfruttarla, in qualche modo.
Ma prima doveva trovare un modo per far parlare della matematica di sé stessa: non poteva utilizzare il normale linguaggio inglese o tedesco, in quanto avrebbe ottenuto una dimostrazione da un sistema esterno, il che, in realtà, portava ad una prova sbagliata.
Doveva solo basarsi sugli assiomi della realtà astratta presa in considerazione.
E così inventò un modo per codificare ogni affermazione in un’equazione numerica: ogni frase è individuata univocamente attraverso l’utilizzo dell’unicità del prodotto di numeri primi.
Questo è un elemento fondamentale; infatti, sistemi logici non abbastanza potenti da includere la moltiplicazione, come l’aritmetica di Presburger, risultano infatti totalmente coerenti e completi: ogni affermazione costruibile usando il linguaggio del sistema è dimostrabile, ma il numero totale di queste è più limitato rispetto a quelle di molte altre teorie assiomatiche.
Tornando a Godel, fu in grado di costruire usando la sua codifica la frase: “questa frase è indimostrabile”, simile ma diversa da quella precedente.
Mettiamo che sia falsa: allora la frase è dimostrabile, ma ciò implica anche che la frase è vera (si ha la dimostrazione della sua veridicità).
Ma ciò è una contraddizione, e, siccome il sistema in cui stiamo lavorando deve esserne privo, si dimostra che la nostra supposizione iniziale è falsa.
Perciò la frase deve essere vera: “questa frase è indimostrabile”.
Ecco che, come per magia, si trova la soluzione al teorema: Godel ha dimostrato che deve sempre esistere almeno una frase vera, ma indimostrabile.

Ciò implica anche che ogni teoria, che sia la matematica, che sia la fisica, che sia anche un semplice gioco tra amici, se si basa su principi o regole che includono in qualche modo l’aritmetica con addizioni e moltiplicazioni, risulta completabile solo attraverso la creazione di più sistemi assiomatici, potenzialmente contradditori tra di loro.
Se si resta con solo uno, e anche se si aggiungono agli assiomi tutte quelle affermazioni che risultavano precedentemente indimostrabili, si avranno comunque altre frasi, se non anche di più, che risultano comunque indecidibili.
Molti dei problemi di Hilbert iniziarono a rivelarsi indimostrabili:
mentre alcuni matematici riconobbero come stupendi i lavori di Godel, altri furono consumati dal timore che il problema su cui stavano lavorando da ormai da una vita potesse diventare, tutto ad un tratto, impossibile.
Oltre a questo teorema, si aggiunge anche un altro noto come “il secondo teorema dell’incompletezza”, dimostrato contemporaneamente sia da Neumann che da Godel, rispondente alla seconda domanda di Hilbert che chiedeva “la matematica è priva di contraddizioni?”
Entrambi risposero: “Boh”.
Esatto, fu infatti dimostrato che: “ogni sistema logico coerente, ossia privo di contraddizioni, abbastanza espressivo da contenere l’aritmetica di Peano, non può dimostrare la propria coerenza”.
La coerenza di questo può essere solo dimostrata da sistemi esterni ad esso; ad esempio, la coerenza dell’aritmetica può essere dimostrata tramite la teoria degli insiemi, ma non dall’aritmetica stessa.
Questo fu il decisivo colpo mortale al progetto di Hilbert.
L’INIZIO DELLA COMPUTAZIONE E I SUOI LIMITI

La terza questione di Hilbert fu investigata da Alan Turing (1912-1954), padre dell’informatica nonché l’uomo che riuscì a costruire la prima macchina in grado di decifrare crittografie complesse, sfruttata durante la Seconda Guerra Mondiale per comprendere i messaggi segreti dell’Asse.
Anche stavolta la risposta rimane negativa: non esiste un algoritmo in grado di dire se un’affermazione è derivabile o meno da certi assiomi.
Turing lo provò utilizzando un ragionamento autoreferenziale (che non mostrerò qui) simile a quello di Godel, ma ragionò in altri termini, riformulando la domanda:
“E’ sempre possibile dire, conoscendo le condizioni di partenza, se un programma (al computer) si fermerà o no?”
E la risposta è, appunto, no.
Ci sarebbe molto altro da dire riguardo ai computer, soprattutto riguardo alla computabilità e di come questo fattore si lega a quelle funzioni che crescono talmente rapidamente da non essere più comprensibili mentalmente, e perché no, perché non parlare anche dell’infinito, anzi, degli infiniti, degli infiniti infiniti.
CONTINUA…



Lascia un commento