Primavera non bussa, lei entra sicura

Come il fumo lei penetra in ogni fessura.

(F. De André-“Un chimico”)

Una musa eterna. Da Botticelli a Vivaldi, la primavera irrompe nel gelo dell’inverno con un raggio di sole, un fiore che si schiude, un albero che rinasce. Così quieta ma sconvolgente (e un po’ malinconica, qualche volta) la primavera è il risveglio non solo della natura, ma anche dell’arte, della musica e della poesia. Una fonte d’ispirazione che non passa mai di moda, in  cui un petalo diventa protagonista del carnevale caleidoscopico che gli sboccia attorno.

E Gustav Klimt lo racconta in un’opera impattante, che si scontra frontalmente con lo spettatore e lo spinge in quell’universo, un po’ sogno e un po’ lirica, dove ogni cosa sembra poter prendere vita.

Considerato tra i più grandi artisti, va detto, di ogni epoca, Klimt nasce in un sobborgo viennese nell’estate del 1862 da un padre orafo incisore e da una madre che avrebbe voluto fare la cantante. Nonostante la famiglia numerosa (Gustav è il secondo di sette figli) e le condizioni modeste in cui viveva, Klimt viene ammesso nel 1876 alla Scuola d’arti applicate del Museo dell’Arte e dell’Industria dove inizia a formarsi e a padroneggiare stili e tecniche in un viaggio tra epoche e culture. Ma il primo vero importante incarico arriva nel 1886, quando gli viene affidata la decorazione delle due volte d’ingresso e dei tre scomparti del soffitto centrale per il nuovo Burghtheater. Da lì comincia la storia che conosciamo: gli albori e lo sviluppo della Secessione viennese, il simbolismo, l’Art Nouveaux, i quadri dello scandalo, il Bacio.

Ma torniamo alla primavera. È strano osservare come nella produzione di Klimt compaiano paesaggi solo a partire dal periodo maturo. Seppur lontano dagli impressionisti, egli dipingeva “en plein air”, senza schizzi preparatori. E lo si vede, meglio che mai, in “Giardino di campagna con girasoli” (Vienna-Osterreichische Galerie, 1905). Apogeo primaverile: i fiori sembrano venire incontro a chi li guarda. Le pennellate somigliano alle mille tessere di un mosaico e i colori mescolati costringono l’occhio a perdersi tra le sfumature delle corolle. Si percepisce il profumo della vita che germoglia, fragile, dai contorni indefiniti.

Klimt dipinge il capolavoro nel giardino di una locanda durante le vacanze trascorse a Litzberg nel 1905 immortalando un ritaglio d’erba coperto di fiori che fanno capolino dal terreno e dominano la scena: senza dubbio la “cartolina” più bella (e grande!) della storia.

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