Mercoledì 1 marzo diverse classi del liceo Enzo Ferrari hanno preso parte all’incontro con l’autore Claudio Fava. L’appuntamento si inserisce all’interno del progetto “Rapsodia-scrittori nella scuola“, finalizzato ad incrementare maturazione e consapevolezza su argomenti quali legalità, lotta alla mafia e, più in generale, sulle tematiche di attualità che costituiscono il punto focale dei percorsi di educazione civica. 

Centoventisei” è il titolo del libro che gli studenti hanno letto e analizzato in preparazione alla visita dello scrittore: un romanzo che racconta la mafia dalla prospettiva più bassa. Da parte di chi, cioè, svolge il “lavoro sporco”. 

Claudio Fava, classe 1957, impegnato attivamente da sempre alla lotta contro la criminalità organizzata in Sicilia (ma non solo), racconta così la genesi della storia

“Inizia tutto dai luoghi. È sempre così: sono i luoghi che creano i racconti, non il contrario. La Sicilia, in particolare Palermo, è l’elemento di partenza da cui si snoda l’intera vicenda. La Palermo di cui parlo è una terra di mezzo in cui anche noi lettori possiamo muoverci. Fa parte del gioco, non solo del mestiere: possiamo sentire i nostri personaggi e provare empatia per loro”. 

“Si tratta di un’opera di assoluta fantasia –prosegue Fava– gli episodi parlano di tutto ciò che è accaduto prima della strage di via d’Amelio. Ma la focalizzazione non è quella delle menti, degli ideatori. Nessun capo mafioso al centro della scena: ogni parola, ogni gesto e pensiero è affidato da chi si trova costretto a lavorare sul campo. A chi uccide, per intenderci. A chi non può scegliere. A chi non riesce nemmeno immaginare che esista qualcosa oltre il semplice ammazzare-e-vivere, o meglio: ammazzare-per-vivere. Gasparo, protagonista e motore del romanzo, ci conduce all’interno del suo viaggio: ci fa entrare in un mondo che spesso ci appare remoto quando, in realtà, è più vicino e concreto che mai”. 

La riflessione, poi, verte sulla realtà odierna. Conclude Fava: “Ci si sbarazzerà delle mafie, prima o poi. Ma non grazie ad un naturale processo darwiniano. Sarà possibile liberarsene solo quando giungerà una risposta collettiva più forte, più consapevole da parte di ognuno. Non è affatto compito esclusivo degli addetti ai lavori, come giornalisti, magistrati o imprenditori, siamo tutti coinvolti. Nonostante i numerosi passi avanti, non è possibile credere che convivere con la mafia sia la soluzione al problema“. 

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